Avvocato Porcari Marco | I COSTI INDICATIVI DI RIFERIMENTO DELL’AUTOTRASPORTO
Lo Studio Legale Avvocato Marco Porcari inizia la sua attività nell'aprile 1996 a Torino,C.so Duca degli Abruzzi n°6 bis, ed a Settimo T.se, via Leinì n°19. L'Avvocato Marco Porcari, dopo aver maturato le esperienze di cui al curriculum vitae, che verrà brevemente illustrato, ed aver collaborato con il compianto Avv. Luciano Porcù, esperto nel campo tributario, tra il 1993 ed il 1996, si è proposto la finalità, all'avanguardia con i tempi, di creare una struttura multidisciplinare in grado di fornire un servizio di prima necessità alle imprese ed ai privati nel settore giuridico e tributario.
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I COSTI INDICATIVI DI RIFERIMENTO DELL’AUTOTRASPORTO

I COSTI INDICATIVI DI RIFERIMENTO DELL’AUTOTRASPORTO

Il MIT ha recentemente approvato il Decreto Direttoriale 206 del 27.11.2020 sui “Costi indicativi di riferimento dell’attività di autotrasporto merci”, un valido criterio interpretativo per le eventuali controversie tra committente e vettore.

Il sottoscirtto ha subito commentato, su una rivista del settore, tale provvedimento.

Si riporta di seguito l’ Articolo pubblicato su Logistica & Trasporti.

Come è noto nel nostro ordinamento giuridico il precedente giurisprudenziale non è vincolante a differenza di ciò che accade nel sistema anglosassone ove vige il principio, che si riassume nella nota massima giuridica: judge made low (il giudice fa la legge). In altre parole nel modo anglosassone sussiste una legge che si sviluppa sulla base di sentenze emesse in tribunale. Il precedente sentenziato dai giudici viene spesso utilizzato per prendere decisioni su aree che non sono incluse negli atti del Parlamento, in altri termini quando si utilizza la common law, i giudici decidono i casi sulla falsariga di decisioni precedenti prese in casi simili. Nel nostro paese vige invece il sistema di civil law, in cui unico organo preposto ad emanare atti legislativi è il Parlamento della Repubblica, nonché gli altri organi aventi funzioni legislative, quali il Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri i vari Ministeri, e le varie Direzioni all’interno degli stessi. Questa premessa si rende necessaria per una prima fondamentale considerazione: il Decreto Direttoriale sui costi di riferimento dell’autotrasporto che andiamo a commentare, non ha forza di legge ma è un semplice atto amministrativo ricognitivo regolamentare, con tutti i limiti del caso, come meglio verrà illustrato in questo articolo. Tuttavia non si può ignorare la funzione cosiddetta “nomofilattica”, cioè il compito di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto in uno Stato nazionale, esercitata anche nel nostro sistema dalle giurisdizioni superiori ed in particolare dalla Corte di Cassazione, nonché la Corte Costituzionale che ha una funzione di “giudice delle leggi”. Tutto ciò per meglio illustrare come si è arrivati alla conferma circa la piena legittimità della ratio che anima la disciplina in materia di costi minimi dell’autotrasporto e come finalmente sia finito il tempo dei tentennamenti, dei rinvii, dei ricorsi pretestuosi, delle censure immotivate da parte del nostro legislatore.

Un’ordinanza della Corte Costituzionale alla base del Decreto Direttoriale.

L’ordinanza della Corte Costituzionale, della quale andremo a sintetizzare il contenuto, ha costituito il motivo per un nuovo intervento del legislatore, correttivo del precedente e volto a reintrodurre “incomprimibili” costi minimi a tutela dei Corte Costituzionale, che nella sentenza numero 47 del 2 marzo 2018 li ha dichiarati legittimi. In particolare, i giudici hanno affermano che l’articolo 8 bis della Legge 133/2008 non contrasta con i principi della Costituzione. Vicenda che prende avvio da un ricorso presentato dal Tribunale di Lucca nel febbraio 2017, nell’ambito di una causa in cui la società di autotrasporto ha chiesto al suo committente il pagamento di un ingente somma di denaro come differenza tra la tariffa concordata alla firma del contratto di autotrasporto e quanto previsto, come costo minimo per la sicurezza, dall’articolo 83 bis. Dopo avere ripercorso la complessa vicenda legislativa e giudiziaria (che comprende anche due sentenze della Corte di Giustizia Europea) delle vecchie tariffe a forcella, diventate poi costi minimi di sicurezza e infine costi minimi d’esercizio dell’autotrasporto, i giudici costituzionali sono entrati nel vivo della questione, rigettando il ricorso del Tribunale e, quindi, ritenendo legittimi dal punto di vista costituzionale i commi 1, 2, 3, 6, 7, 8, 10 e 11 dell’articolo 83 bis – (in sostanza la Corte sentenziava la legittimità costituzione di quel complesso normativo che imponeva una contrattualizzazione “calmierata” – con la specifica previsione di una “tariffa minima garantita” per l’autotrasportatore – nell’ambito dell’autotrasporto per conto terzi). A sostegno della loro decisione, i giudici costituzionali citano il principio – previsto sia dalla normativa comunitaria sia dalla Costituzione – secondo cui un interesse di ordine generale può costituire una limitazione alla libera contrattazione tra le parti, principio che sta alla base dei costi minimi di sicurezza e che viene invocato da anni dalle associazioni degli autotrasportatori. Per ciò che concerne il rispetto della normativa comunitaria le sentenza della Corte Costituzionale recita: “Più volte la giurisprudenza comunitaria avrebbe avuto modo di affermare che sono compatibili con le norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento e di libertà di prestazioni dei servizi, di libertà di concorrenza e di trasporti, i provvedimenti legislativi e amministrativi, direttamente riferibili allo Stato membro, che, per ragioni di interesse generale, introducono tariffe minime e/o massime”. Sul rispetto della Costituzione, il ricorso del Tribunale di Lucca invoca il contrasto dell’articolo 81 bis all’articolo 41 della Costituzione, ossia quello che stabilisce la libertà dell’iniziativa privata. A tale proposito i giudici costituzionali hanno avuto modo di affermare che “il principio di libertà di iniziativa economica privata deve essere bilanciato da contrapposti interessi di utilità sociale, purché l’individuazione degli stessi non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non prevedano misure palesemente incongrue”. In tale bilanciamento, “assumerebbe rilevanza l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale, che giustificherebbe la limitazione della libertà negoziale delle parti, allo scopo di garantire che il corrispettivo del vettore sia tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio”. A supporto della tesi accolta e fatta propria, la Corte osserva come “la fissazione in via amministrativa di costi minimi, la cui copertura deve essere garantita dal corrispettivo, non invaderebbe tutto lo spazio negoziale a disposizione delle parti, riguardando solo i costi incomprimibili ed essenziali per la sicurezza della circolazione stradale. Rimarrebbero, invece, alla libera contrattazione, e quindi alla concorrenza, tutte le altre voci che incidono sulla determinazione del corrispettivo, ivi compreso il margine di profitto. Si tratterebbe di un regime non assimilabile ad una vera e propria regolazione tariffaria (di cui, anzi costituirebbe il superamento), la cui incidenza sulla libertà negoziale delle parti sarebbe alquanto ridotta ed ampiamente giustificata dalle descritte esigenze di sicurezza, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità”.

Il Decreto Direttoriale 206/2020.

In sostanza dopo una lunga vicenda giudiziaria che ha coinvolto in particolare la Corte di Giustizia Europea e Corte Costituzionale e dopo diverse sollecitazioni delle associazioni di categoria dell’autotrasporto, il nostro legislatore non ha potuto esimersi dal recepire i principi della Consulta e dal ratificare gli stessi con un provvedimento amministrativo atto a legittimare i c.d. “costi minimi”. Conseguentemente, nel recepire i principi enunciati dal Giudice delle Leggi, il Ministero dei Trasporti ha pubblicato il Decreto Direttoriale 206 del 27 novembre 2020 sui “costi indicativi di riferimento dell’attività di autotrasporto merci”. In sintesi, il nuovo regime riprende il concetto della “forcella” che contraddistingueva le vecchie tariffe obbligatorie, ossia con un doppio valore minimo e massimo. Il Decreto, tuttavia, si esime dall’“individuare valori dettagliati per ogni singola voce di costo medio, provvedendo invece ad aggregare le singole voci di costo omogenee”. I veicoli sono suddivisi in quattro categorie sulla base della massa complessiva:

  1. fino a 3,5 tonnellate,
  2. oltre 3,5 e fino a 12 tonnellate,
  3. oltre 12 e fino a 26 tonnellate,
  4. oltre 26 tonnellate.

Per i veicoli con massa complessiva fino a 3,5 tonnellate, che sono usati in prevalenza in ambito urbano e con percorrenza inferiore a 100 chilometri – per la cosiddetta distribuzione nell’ultimo miglio – la remunerazione potrebbe essere riferita al tempo e non al chilometraggio.

La tabella riporta il costo chilometrico unitario e mostra tre sezioni:

  • la prima sezione riguarda il veicolo e comprende non solo quelli motorizzati, ma anche rimorchi e semirimorchi: i valori comprendono acquisto, manutenzione, revisione, pneumatici, bollo, assicurazione e ammortamento;
  • la seconda sezione riguarda gli altri costi, divisi in costi del lavoro (stipendio, trasferte e straordinari dell’autista, ecc.) e carburante;
  • la terza sezione comprende il pedaggio autostradale; tali costi sono calcolati sulla base di una percorrenza media di 100.000 chilometri l’anno.

Il Decreto Direttoriale, che come si è accennato non ha rango di legge – ma è un atto amministrativo ricognitivo -, ha chiaramente specificato che i costi di esercizio non hanno natura cogente, cioè non fa parte di quelle norme che non possono essere derogate dal privato. Su tale ultimo punto giova soffermarsi e fare alcune considerazioni. Come appare evidente il decreto in commento, contenente i valori indicativi dei costi di esercizio dell’autotrasporto – la cui struttura, giova ribadirlo, ricalca nella sostanza il modello della forcella, con valori minimo-massimo -, ha riportato in auge la già ampiamente discussa questione dei costi minimi che era stata accantonata dalla precedente riforma dell’autotrasporto in ossequio, peraltro, ai principi in materia antitrust. Come è noto, infatti, il legislatore aveva, in un primo tempo, abolito il vecchio impianto delle tariffe a forcella – con il disposto dell’articolo 4 del D. Lgs. 21.11.2005 n. 286 secondo cui “i corrispettivi per i servizi di trasporto sono determinati dalla libera contrattazione delle parti” – e in seguito, in applicazione dei principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia Europea 4 settembre 2014 C-163/2013, aveva cancellato anche il sistema di regolazione obbligatoria dei costi minimi di esercizio di cui all’originario art. 83 bis del D.L. 112/2008. In particolare, la legge 190/2014 (legge di stabilità 2015) aveva riscritto il comma 4 dell’articolo 83 bis del D.L. 112/2008 sancendo il principio secondo cui “nel contratto di trasporto, anche stipulato in forma non scritta, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, e successive modificazioni, i prezzi e le condizioni sono rimessi all’autonomia negoziale delle parti, tenuto conto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale” e sostituendo ai “costi minimi” i “valori indicativi di riferimento”, la cui individuazione è stata demandata al Ministero della Infrastrutture e dei Trasporti.

La valenza del Decreto Direttoriale.

Ma se i costi di esercizio, come si è detto, non hanno natura cogente allora vale la pena di chiedersi quale sia la rilevanza giuridica dei costi indicativi di esercizio individuati dal Decreto Direttoriale nel contesto del generale principio di libera contrattazione tra le parti e di libera determinazione dei compensi degli autotrasportatori per conto terzi. Si tratta di conciliare il principio della libera determinazione del compenso con i costi minimi individuati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che, in quanto privi di efficacia, da un lato non potranno imporre alla committenza livelli tariffari minimi e, dall’altro, non potranno autorizzare il vettore a promuovere un’azione per recuperare l’eventuale differenza, secondo un principio avallato anche dalla giurisprudenza formatasi a seguito della pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia Europea 4 settembre 2014 C-163/2013.  In definitiva, i costi indicativi di riferimento potranno – ma non dovranno necessariamente – essere utilizzati dalle parti come parametro per negoziare l’ammontare del compenso del singolo trasporto alla luce dei “principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale”. Infine, non si può escludere che i valori indicativi dei costi di esercizio potranno essere presi in considerazioni in tutte quelle controversie tra committenza e vettore in cui si faccia questione del livello di servizio prestato dal vettore; in altre parole detti valori oggetto del provvedimento costituiranno sicuramente un valido criterio interpretativo per i nostri giudici chiamati a decidere in merito alla congruità di un libero compenso negoziato, parametrato alla qualità del servizio prestato dai nostri vettori. Il Decreto Direttoriale, quindi, costituisce l’ultima tappa, in ordine di tempo, di un processo che ha preso le mosse dal superamento delle tariffe a forcella. La rilevanza del provvedimento risiede nel fatto di aver chiarito che tali parametri non hanno natura cogente ma meramente indicativa, lasciando spazio aperto all’autonomia privata di libera negoziazione dei compensi tra committenti e vettori.  Sarà ancora una volta la giurisprudenza – per riprendere quanto scritto all’inizio di questo articolo – ad individuare dei limiti alla libera autonomia negoziale delle parti sulla base dei valori indicativi dei costi di esercizio di cui al Decreto Direttoriale in commento. In altre parole si è sicuramente fatto un passo avanti verso un sistema per cui il soddisfacimento reciproco degli interessi personali dei vettori e dei committenti dovrebbe portare al benessere dell’intero sistema dell’autotrasporto per conto terzi.

Nel Decreto Direttoriale 206 del 27.11.2020 i veicoli sono suddivisi in quattro categorie sulla base della massa complessiva: e la tabella riporta il costo chilometrico unitario suddiviso tre sezioni

Il Decreto Direttoriale costituisce l’ultima tappa, in ordine di tempo, di un processo che ha preso le mosse dal superamento delle tariffe a forcella e i valori oggetto del provvedimento costituiranno un valido criterio interpretativo per decidere in merito alla congruità di un libero compenso negoziato, parametrato alla qualità del servizio prestato dai vettori.

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